Le controversie in materia di c.d. equo indennizzo e la (dis)parità della tutela nei due rami di giurisdizione

A seguito della riforma di privatizzazione del pubblico impiego, il tema del livello di tutela garantito ai dipendenti delle p.a. dal giudice del lavoro è stato animosamente dibattuto. Richiamando alcune recenti pronunce in materia di equo indennizzo per infermità da causa di servizio, s’intende proporre una chiave di lettura diversa rispetto a quella di maggioritaria dottrina mostratasi fin da subito sfavorevole al mutamento di giurisdizione.
L’equo indennizzo è un beneficio dalla natura giuridica retributiva introdotto nel 1953, che può
essere concesso o negato dall’amministrazione datrice di lavoro sulla scorta degli esiti di un articolato procedimento in cui intervengono una commissione medica e un comitato tecnico; la prima verifica se il dipendente sia o meno affetto da una qualche patologia, il secondo esprime un parere in merito al nesso di causalità tra infermità e mansione svolta. Nel 2011, con il c.d. Decreto Salva Italia, i dipendenti civili sono stati esclusi dall’ambito applicativo della normativa, che rimane dunque limitata a favore dei soli appartenenti ai comparti di difesa, sicurezza e soccorso pubblico. Vi sono comunque sentenze non risalenti del giudice del lavoro – riguardanti la fetta di contenzioso insorta rispetto a procedimenti che, alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, non erano ancora pendenti o non erano stati ancora avviati per mancata scadenza dei termini – che possono essere confrontate con quelle del giudice amministrativo al fine di scorgere eventuali differenze.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha affermato che il processo ordinario serve ad accertare la titolarità
del diritto all’indennizzo, gravando sul lavoratore l’onere di dedurne e provarne i fatti costitutivi, così da dimostrare la riconducibilità dell’infermità alle modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita (ex multis Cass. civ., sez. VI, 61/2019). Peraltro, ove residuino dubbi in ordine alla sussistenza del citato nesso eziologico, il giudice può disporre una consulenza tecnica d’ufficio ex art. 421 c.p.c., evidentemente volta alla formulazione di un nuovo parere sostitutivo di quello adottato dal comitato di verifica.
Al contrario, esaminando le sentenze del giudice amministrativo (a mero titolo esemplificativo si v.
TAR Lazio 1252/2022), il primo dato che salta agli occhi è la negazione della possibilità di accertare in sede processuale la spettanza dell’equo indennizzo, poiché, da un lato, la p.a. è titolare di poteri autoritativi e discrezionali e, dall’altro, il dipendente vanta una posizione di interesse legittimo. Come dichiarato da
concorde giurisprudenza amministrativa ‘
il giudizio sulla dipendenza o meno dal servizio, costituisce tipicamente esercizio di attività di merito tecnico riservato all’organo medico’; il giudice può quindi compiere solo ‘una valutazione esterna di congruità e sufficienza’, che si concretizza nel verificare se ‘le determinazioni assunte siano affette da illogicità, irrazionalità, irragionevolezze manifeste, o siano state
adottate per erroneità dei presupposti sottesi al
giudizio conclusivo reso, per mancata considerazione di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva, nonché per palese difetto di istruttoria e di motivazione o di esaustività’ ( Cons. Stato 4009/2022). Ne deriva che nei limitati casi in cui il giudice speciale dispone una consulenza tecnica, si premura di ribadire che in nessun modo essa può legittimare una sostituzione del giudice al parere rimesso al comitato tecnico. Pertanto, all’esito di tale controllo esterno sulle modalità di esercizio del potere, il giudice può decidere se annullare il provvedimento di diniego, ma non spingersi a riconoscere il beneficio.

Dalla breve analisi delle sentenze richiamate, si evincono non marginali divergenze tra le soluzioni fornite nei due rami di giurisdizioni con riferimento alla medesima fattispecie astratta. L’esigenza di parità di trattamento risulta invero frustrata sul piano della natura della posizione giuridica lesa, sul piano del sindacato effettuabile, nonché sul piano dei mezzi di tutela garantiti; con la peculiarità che, a giovarsi di tale diverso trattamento, è il pubblico impiegato privatizzato il quale, vantando un diritto soggettivo pieno, può
richiedere l’accertamento della spettanza dell’indennizzo e la contestuale condanna della p.a. a
corrisponderlo.

Dott.ssa Beatrice Baldini

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