Ai ricercatori universitari di tipo a e di tipo b della legge n. 240 del 2010, si applicano le norme sul lavoro subordinato a tempo determinato anche di derivazione comunitaria?

Il Tar della Toscana, con una serie di condivisibili pronunzie dei primi di gennaio 2024, ribadisce la specialità che continua a connotare sia sul piano ordinamentale che normativo la figura dei ricercatori universitari. Si afferma, difatti, che “Sono da respingere, in particolare, i primi due motivi con i quali si sostiene il contrasto tra, la disciplina del rapporto di lavoro dei ricercatori universitari (con particolare riferimento ai ricercatori di tipo A), con gli obblighi derivanti dalla direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 1.2 È necessario premettere che la Legge n. 240/2010 ha distinto tra ricercatori di cui alla “lettera A”, con contratti triennali prorogabili per ulteriori 2 anni e ricercatori di cui alla “lettera B”, con contratti triennali non rinnovabili, ma che danno diritto alla valutazione per la chiamata come professori associati in caso di ottenimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale. 1.3 L’esclusione di entrambe dette categorie dalla disciplina propria dei dipendenti pubblici è espressamente contenuta nell’art. 3 del d.lgs. 165/01, laddove il Legislatore ha avuto modo di precisare che il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari, a tempo indeterminato o determinato, resta disciplinato dalle disposizioni rispettivamente vigenti, in conformità ai principi della autonomia universitaria di cui all’articolo 33 della Costituzione. 1.4 Proprio in conseguenza del regime di autonomia applicabile alle Università e dell’esistenza di specifiche disposizioni (ad esempio l’art. 29, d.lgs. n. 81/2015) previste per i ricercatori a tempo determinato, non risultando estensibili a detta categoria le disposizioni sul contratto a tempo determinato, così come quelle contenute nell’art. 1 del d.lgs. n. 328 del 2001, né quelle di cui al decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, poiché espressamente escluse nel caso di contratti a termine stipulati ai sensi della legge n. 240/10. 1.5 L’assunzione del ricercatore è strettamente correlata all’esecuzione di uno o più specifici progetti, le cui caratteristiche vengono rese evidenti nel bando di concorso e, ciò, anche con la conseguenza che la realizzazione delle attività di progetto costituisce la ragione oggettiva che giustifica il rinnovo dei contratti a termine e legittima la condotta della Scuola. I regolamenti di Ateneo individuano poi le circostanze in base alle quali una proroga è legittima e, ciò, sulla base di criteri oggettivi diretti a verificare che il rinnovo di siffatti contratti corrisponda ad un’esigenza reale dell’Università. 1.6 È allora evidente la disciplina dell’Università costituisce l’unica fonte normativa in materia di inquadramento contrattuale del ricercatore a termine, con espressa esclusione dell’applicabilità dei principi di privatizzazione e contrattualizzazione del d.lgs. n.165/2001. 1.7 Si consideri peraltro che, a seguito della rimessione da parte del TAR Lazio ai sensi dell’art 267 TFUE, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è già pronunciata (in questo senso è l’ordinanza n. 4336/2019) rilevando l’inesistenza di un contrasto tra la normativa nazionale e il diritto dell’Unione. La compatibilità tra la normativa interna che delinea lo status dei ricercatori e i principi vincolanti espressi dalla suddetta direttiva trova fondamento nel principio, indicato dal punto 7 dei considerando della direttiva 1999/70/CE, secondo cui “l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi” e, ancora, dal tenore della clausola n. 5 dell’accordo quadro, laddove si prevede l’individuazione di specifici criteri per procedere al rinnovo dei contratti di cui si tratta (T.A.R. Lazio Roma Sez. III, del 23 maggio 2022, n. 6593).

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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