Le leggi di interpretazione autentica non sono sempre legittime

La Corte costituzionale, con una sentenza dell’11 gennaio 2024 n. 4, interviene a censurare una prassi piuttosto frequente del nostro legislatore sia nazionale sia regionale, quelle disposizioni di asserita interpretazione autentica con efficacia retroattiva e dirette ad intervenire sui contenziosi in corso.
Invero, in disparte anche dalla vicenda concreta che ha ingenerato la pronunzia, relativa al diritto alla RIA ed alle sue maggiorazioni piuttosto risalente nel tempo, la Corte costituzionale, nel censurare la legge, afferma a chiare lettere che “risulta decisivo il fatto che il legislatore abbia adottato la disposizione censurata per superare un orientamento giurisprudenziale consolidato, al fine specifico di incidere su giudizi ancora pendenti in cui era parte l’amministrazione pubblica, fatta salva la sola esecuzione dei giudicati già formatisi alla data di entrata in vigore della disposizione medesima. Va infatti evidenziato che, nell’ambito di controversie promosse da dipendenti pubblici ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni della RIA ai sensi dell’art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del 1990, il Consiglio di Stato aveva chiaramente affermato che la proroga legislativa dell’efficacia del d.P.R. n. 44 del 1990 al triennio 1991-1993 (disposta dall’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384 del 1992, come convertito) avesse modificato anche il termine utile ai fini del calcolo delle anzianità di servizio necessarie alla maturazione di tali maggiorazioni: con la conseguenza che i dipendenti pubblici – sino all’entrata in vigore della disposizione censurata – si sono visti riconoscere le maggiorazioni sulla base di anzianità di servizio maturate successivamente al 31 dicembre 1990 (tra le altre, si veda Consiglio di Stato, sezione quarta, 17 ottobre 2000, n. 5522). In un simile contesto, il legislatore è intervenuto, con la disposizione censurata, al fine specifico di superare tale orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza della grande diffusione del contenzioso promosso dai dipendenti pubblici per il riconoscimento delle maggiorazioni della RIA in relazione al triennio 1991-1993. Tale finalità emerge in maniera incontrovertibile dalla documentazione predisposta dagli uffici parlamentari a illustrazione dei contenuti dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, ove si sottolinea che «[l]’iniziativa è giustificata dalla considerazione che è intervenuta una giurisprudenza del Consiglio di Stato […] ormai consolidata che riconosce l’ultrattività al 31 dicembre 1992 degli accordi di comparto ai fini della maturazione dell’anzianità di servizio utile per il conseguimento del beneficio, la quale, laddove è [e]stesa alla generalità del personale interessato, comporterebbe rilevanti effetti di spesa per la corresponsione del beneficio, avente per altro decorrenza retroattiva». 8.5.– Né, infine, può ritenersi che l’intervento legislativo in questione trovasse una ragionevole giustificazione nell’esigenza di tutelare principi, diritti e beni costituzionali, posto che, come ha chiarito la Corte EDU, solo imperative ragioni di interesse generale possono consentire un’interferenza del legislatore su giudizi in corso; i principi dello stato di diritto e del giusto processo impongono che tali ragioni «siano trattate con il massimo grado di circospezione possibile» (sentenza 14 febbraio 2012, Arras contro Italia, paragrafo 48). 8.5.1.– In ragione di ciò, come evidenziato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte EDU ha ritenuto compatibili con l’art. 6 CEDU alcuni interventi legislativi retroattivi incidenti su giudizi in corso, là dove «i soggetti ricorrenti avevano tentato di approfittare dei difetti tecnici della legislazione (sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building Society e Yorkshire Building Society contro Regno Unito, paragrafo 112), o avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione medesima, cui l’ingerenza del legislatore mirava a porre rimedio (sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69)» (sentenza n. 145 del 2022). In un altro caso, è stato valorizzato il fatto che l’intervento legislativo retroattivo mirava a risolvere una serie più ampia di conflitti conseguenti alla riunificazione tedesca, al fine di «assicurare in modo duraturo la pace e la sicurezza giuridica in Germania» (20 febbraio 2003, ForrerNiedenthal c. Germania, paragrafo 64)”. Insomma verrebbe da dire, banalizzando senz’altro l’aulicità delle conclusioni della Consulta, che anche il “regolatore” non deve fare il furbo e non può cambiare le regole del gioco solo per sovvertire l’esito di contenziosi sfavorevoli alle pubbliche amministrazioni.

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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