La stagione del PNRR, che viene delineandosi all’indomani di una pandemia da cui faticosamente si cerca di uscire ed in mezzo a scenari internazionali complessi e che evocano persino spettri che si speravano esorcizzati con la fine del ‘900, costituisce la vera occasione per dare piena dignità e rilevanza alla dirigenza pubblica e per farla uscire dal (forse) comodo cantuccio della cd. burocrazia difensiva e del quieto vivere.
Insomma sembra intuibile che il grado di raggiungimento degli obiettivi ambiziosi del PNRR, e prima ancora di quelli quotidiani e ordinari che connotano (o dovrebbero connotare) le attività di un qualsiasi ente pubblico, implica il superamento della ritrosia all’assunzione del rischio e delle responsabilità che finiscono per paralizzare l’azione del dirigente e con lui del “suo” ente, visto che il primo finisce per distorcere in chiave difensiva “personale” comportamenti che dovrebbero essere diretti a fini collettivi, al solo scopo (peraltro pienamente comprensibile) di evitare il rischio di una perdita economica personale.
In questo contesto è innegabile che un qualche necessario ripensamento investa probabilmente la responsabilità che, più di ogni altra, incide su tale atteggiamento ovverosia quella responsabilità amministrativa a cui il legislatore, accentuandone il carattere sanzionatorio, ha spesso affidato il compito di operare una funzione di vigilanza e di argine alla cattiva amministrazione come confermano, per rimanere al tema del rapporto di lavoro pubblico, le numerose ipotesi di danno erariale di cui negli anni stato disseminato il D. Lgs. n. 165 del 2001 (si pensi alla violazione delle norme sul conferimento incarichi o sulle consulenze o ancora alle norme sulla disciplina del rapporto di lavoro flessibile).
In una chiave di attenuazione del rischio della burocrazia difensiva si colloca, più di recente (al di là dei continui rimaneggiamenti della disciplina iniziale dell’art. 1 della legge n. 20 del 1994), una norma che forse è passata sottotraccia e che è contenuta nell’art. 21 del D.L. n. 76 del 2020 volta a confinare (almeno sino al 30 giugno 2023) la responsabilità amministrativa ai soli casi in cui il danno discenda da una condotta commissiva dolosa, preoccupandosi il lessilatore anche di esplicitare, novellando ancora una volta il surrichiamato art. 1 della legge n. 20 del 194, che la prova del dolo implica la “dimostrazione della volontà dell’evento”, così accogliendo la nozione penalistica di dolo e non già quella civilistica del dolo contrattuale inteso ed integrato dalla sola cosciente violazione del precetto inerente al rapporto contrattuale.
Sicchè è davvero auspicabile che questa indubbia apertura di credito mostrata da legislatore a favore della dirigenza pubblica (con la contestuale esclusione della limitazione ai casi in cui il danno discenda dal non fare ovvero da omissioni o inerzie di chi era tenuto ad intervenire) costituisca un’occasione che non vada perduta e che dia i frutti auspicati, superando quella paura della firma che, in non poche occasioni, si è tradotta anche nell’attesa della decisione del giudice sul rilievo che, a quel punto, nulla mi può essere rimproverato.