Negativa la risposta della Corte Suprema che, con sentenza del 1 giugno 2023 confermativa di una dello scorso anno, ha ritenuto che le addotte ragioni di incompatibilità ambientale del lavoratore, per effetto del procedimento penale cui era sottoposto, non erano comunque in grado di incidere sull’applicazione della disciplina dettata a salvaguardia del prioritario interesse all’espletamento dell’attività sindacale e contenuta nell’art. 22 della legge n. 300 del 1970 la cui applicabilità anche al pubblico impiego si evince dal combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 42, comma 6 e art. 51, comma 2 e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (Cass. 12.7.2016, n. 14196). Insomma conclude la Corte suprema che “in mancanza del previsto “nulla osta”, non vale scrutinare l’esistenza di situazioni di incompatibilità ambientale atte a sorreggere, ex art. 2103 c.c., il trasferimento che, se disposto nei confronti di dirigente sindacale senza l’osservanza delle formalità prescritte – fatto acclarato nella sentenza impugnata e non revocato in dubbio dalla difesa della ricorrente -, resterebbe nondimeno inficiato da una presunzione di anti-sindacalità”.