I requisiti per accedere alle procedure di stabilizzazione sono di stretta interpretazione: non valgono i servizi prestati all’estero anche negli enti di ricerca

In un procedura di stabilizzazione relativa al personale di un Ente di ricerca il TAR del Lazio- Roma, con sentenza del 9 febbraio 2023, richiamata la disciplina di legge (art. 20 D. Lgs. n. 75 del 2017) ed una circolare del MIUR (la n. 3 del 2017), conclude che “Dal quadro normativo di riferimento discende, pertanto, la non computabilità, ai fini del calcolo del triennio, dell’esperienza prestata presso università estere, che non rientrano nel novero degli enti e istituti di ricerca sottoposti alla vigilanza del MIUR”. Invero «[p]osto che una norma ad alta valenza settoriale e derogatoria rispetto alle altre norme che impongono il concorso pubblico per l’accesso al pubblico impiego, quale è quella recata dall’art. 20 d.lgs. 75/2017, per propria natura deve essere interpretata (e applicata) in modo rigoroso e tale da scongiurare ogni interpretazione che conduca ad estenderne, al di fuori dello stretto perimetro operativo di applicazione disegnato dalle disposizioni che la compongono, la portata applicativa (dovendosi limitare l’interprete alla c.d. stretta interpretazione delle espressioni che formano le previsioni normative in essa contenute), assume rilievo la circostanza che la norma espressamente fa riferimento agli enti e istituzioni di ricerca nazionali “finanziate dal Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca”», il che conduce ad affermare nel caso in esame – parafrasando la pronuncia di secondo grado – che un’università straniera, quale quella presso cui ha collaborato la ricorrente, «non equivale ad un ente o istituzione di ricerca finanziato dal “Fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca”. In conclusione, altrimenti, si rischierebbe di estendere l’applicazione di una normazione di strettissima interpretazione al personale che, non avendo prestato un congruo periodo di servizio presso un’amministrazione nazionale, potrebbe non essere in alcun modo riconducibile alla figura del dipendente “precario”» (in tali termini, CdS, Sezione Sesta, sentenza n. 150/2022). Da qui il rigetto del ricorso.

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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