C’è vita su Marte ?
Dalle nuove regole sul patrocinio legale nel CCNL del 23 gennaio 2024 dell’Area Sanitaria alla possibile stabilizzazione dello scudo erariale e di quello penale

Il tema della “medicina difensiva” e delle conseguenze perniciose che essa determina non solo sui pazienti ma più in generale sullo stesso sistema sanitario, con un florilegio di spesso costosi e soprattutto inutili accertamenti diagnostici, è ben noto agli addetti ai lavori ed al personale sanitario.
E, se nel corso degli ultimi anni non sono mancati interventi normativi1 che hanno cercato in qualche misura di porvi rimedio ed altri ancora risultano imminenti, a partire dalla preannunziata proroga sino al 31.12.2024 del cosiddetto “scudo penale”2, la questione mantiene un’indiscussa centralità, involgendo profili che neppure si esauriscono sul piano organizzativo o dell’appropriatezza delle cure e dei correlati costi ma incidono sullo stesso diritto del personale sanitario a lavorare in modo sereno e sicuro.
In questo senso, quindi, è senz’altro da accogliere con favore la nuova disciplina del “patrocinio legale” introdotta dall’art. 56 del CCNL del 23 gennaio 2024 che, mutuandola da quella del personale del Comparto della Sanità3, individua in maniera compiuta e senz’altro più ampia e precisa che in passato le regole da seguire per ottenere la tutela legale diretta da parte del proprio ente ovvero quanto meno il rimborso delle spese sostenute per la difesa nei giudizi civili o in quelli penali quando la prima non sia stata possibile.
Ed è il caso di aggiungere che, in ambito sanitario, fatta eccezione per i casi dolosi, la regola tendenziale sembra essere proprio quella dell’assunzione diretta da parte dell’azienda dei relativi oneri economici sin dall’inizio. Infatti, per lo più, si tratterà di procedimenti di responsabilità civile o penale “per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio” rispetto ai quali, quindi, è difficile delineare, quanto meno da subito, il sorgere di casi di conflitto di interessi “anche solo potenziale” 4, tanto più che la stessa successiva azione di responsabilità amministrativa è correlata al sorgere di ipotesi di colpa grave (se non di dolo) ed è devoluta dall’art. 9, comma 5, della legge n. 24 del 2017 alla Procura della Corte dei Conti.
Nel rinviare, quindi, alla lettura della disposizione e nel raccomandare a tutti coloro che dovessero averne bisogno di attenersi alle regole ed alle tempistiche ivi indicate, anche eventualmente per la nomina di avvocati o di consulenti tecnici di proprio gradimento, che non dovessero coincidere con quelli proposti dall’aziende (cfr. art. 56, commi 1 e 2 CCNL del 23.01.2024), mi limito a segnalare che la disposizione lascia irrisolto, almeno ad una prima lettura, il tema della sorte dei costi della difesa in caso di chiusura del procedimento penale con sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato. Infatti, secondo talune pronunzie della Corte dei Conti e pareri della stessa ARAN5, in siffatta ipotesi, le spese rimarrebbero in capo al sanitario coinvolto nel procedimento e, ove anticipate dall’azienda, sembrerebbero dover essere restituire a quest’ultima secondo le regole dell’art. 56, comma 5, del vigente CCNL che così recita “l’azienda dovrà esigere dal dirigente, eventualmente condannato con sentenza passata in giudicato per i fatti a lui imputati per averli commessi con dolo o colpa grave, tutti gli oneri sostenuti dall’Azienda o Ente per la sua difesa”.
E’, peraltro, indubbio che, anche in ragione di un qualche difetto di coordinamento interno agli stessi commi 1, 2 e 5 dell’art. 56 del CCNL del 23.01.2024, che sembrano per l’appunto limitare l’obbligo di rimborsare gli oneri a difesa nei soli casi di condanna con sentenza passata in giudicato, è possibile sostenere che ciò, viceversa, non sia destinato ad accadere, allorché il giudizio penale si conclude comunque con una formulazione diversa, anche di estinzione ovvero di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione.
Va da sé che, almeno sul piano pratico, il consiglio è quello di approntare in ogni caso un’idonea copertura assicurativa “personale” che consenta al medico o al sanitario di “scaricare” sulla propria assicurazione un simile rischio.
Parimenti, lasciando sullo sfondo la questione della sottrazione dell’atto medico all’ambito penalistico (ovviamente con riferimento ai profili connessi alla sola colpa), non può non operarsi un richiamo alla disciplina contenuta nell’art. 21 D.L. 16 luglio 2020 n. 76 in tema di cosiddetto “scudo erariale”.
Siffatta disposizione, introdotta anche in questo caso in piena pandemia (ovvero vigente dal 21 giugno 2020), ha previsto, sia pure per un periodo transitorio poi progressivamente prorogato dal legislatore ed oggi scadente al 30 giugno 20246, che “limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2024, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità di cui all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e’ limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente e’ da lui dolosamente voluta”. Ed in una logica di consapevole superamento della “amministrazione difensiva” è stato altresì precisato che “la limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente”.
Insomma, sia pure in tale ambito temporale (ovvero sino al 30 giugno 2024… salvo proroghe), il funzionario pubblico risponde dei soli danni conseguenti al non fare ma non di quelli cagionati dall’aver esercitato le proprie funzioni ed assunto i correlati atti se non di natura dolosa.
Anzi, al fine di circoscrivere e definire meglio l’elemento soggettivo del cosiddetto danno erariale, l’art. 21, comma 1, D.L. n. 76 del 2020, con una previsione questa volta sistematica e non più transitoria, novella persino l’art. 1 della legge 14 gennaio 2020 n. 20 sulla responsabilità amministrativa, precisando che all’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il primo periodo e’ inserito il seguente: “La prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà’ dell’evento dannoso”. Ed almeno le prime pronunzie contabili intervenute sul punto hanno chiarito che il legislatore, superando anche in questo caso diversi orientamenti della Corte dei conti, ha inteso accogliere una nozione penalistica di dolo, da individuare in quella del cosiddetto dolo eventuale7.
Orbene, specie se l’art. 21 del DL n. 76 del 2020 viene coordinato con la disciplina dell’art. 9, comma 3, della legge n. 24 del 2017 (sull’azione per responsabilità amministrativa esercitata dal Pubblico ministero della Corte dei conti), sembra sostenibile che, in questo arco temporale, le ipotesi di rivalsa contabile sul personale sanitario sono destinate ad esaurirsi in quelle in cui vi è un fatto di reato doloso ovvero al caso in cui il medico o il sanitario hanno omesso di intervenire senza attivarsi a tutela del paziente.
Viceversa sembrano destinate a fuoriuscire dalla sfera della responsabilità amministrativa tutti i fatti dannosi, che seppure hanno esitato in una sentenza di risarcimento dei danni, sono ascrivibili ad una colpa grave per così dire attiva. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, ai postumi invalidanti di un intervento chirurgico o alle conseguenze di una terapia farmacologica. In tutti questi casi il sanitario, nella vigenza della norma surrichiamata, non risponde di danno all’erario a meno che non si dimostri che ha agito non solo con la consapevolezza di sbagliare ma accettando il rischio di determinare un danno (cd. dolo eventuale).
Di certo è agevole obiettare che residua tutto la sfera della responsabilità sanitaria omissiva e, spesso, specie con il famoso senno del poi, sono bravi tutti ad indicare come e quando si sarebbe dovuto agire, ma sembra indubbio che una stabilizzazione dello scudo erariale, con riferimento se non all’intero personale pubblico quanto meno a quello sanitario, potrebbe attenuare non solo la paura della firma ma rendere decisamente meno gravoso, per il personale sanitario, lo svolgimento dei propri compiti, limitando ulteriormente gli ambiti in cui può essere chiamato a rispondere dei propri errori alle sole conseguenze dolose del proprio operato.
Si tratta indubbiamente di un tema complesso e neppure è difficile cogliere come possa esserci il rischio di una sorta di eccessiva derosponsabilizzazione dell’atto medico ma, muovendo dal presupposto imprescindibile che tutti lavorino con dedizione e responsabilità (e rimanendo comunque salva la responsabilità disciplinare), la norma sembra tracciare un percorso da seguire anche oltre il suo attuale orizzonte temporale, cercando di concorrere a riallacciare un filo, se non altro, di fiducia fra il SSN ed i suoi operatori, senza i quali il primo è destinato a mancare quelle finalità di universalità delle cure per cui era stato pensato sin dalla riforma della legge n. 833 del 1978.

Avv. Mauro Montini


1 Si pensi alla legge legge 8 novembre 2012 numero 189 ed al successivo intervento Legge dell’08/03/2017 n. 24 che ha cercato di procedimentalizzare e scadenzare i diversi momenti della responsabilità sanitaria.
2 Al momento della redazione del presente articolo è ancora in corso di approvazione, da parte del Parlamento, il cosiddetto “Milleproroghe” che dovrebbe prorogare al 31.12.2024 lo scudo penale che era stato introdotto durante la pandemia per limitare le azioni penali nei confronti del personale sanitario.
3 Il riferimento è all’art. 88 del CCNL del 3.11.2022.
4 Vds. l’art. 56, comma 2, ultimo periodo del CCNL del 23.01.2024, secondo il quale il rimborso delle spese è comunque possibile “anche nei casi in cui al dirigente non sia stato possibile applicare inizialmente il comma 1 per presunto conflitto di interesse, anche solo potenziale, ivi inclusi i procedimenti amministrativo-contabili ove il rimborso avverrà nei limiti di quanto liquidato dal giudice”.
5 Si rinviene, ad esempio, una posizione di netta chiusura nella raccolta sistematica degli orientamenti applicativi sul patrocinio legale che risulta pubblicata sul sito dell’ARAN sia pure con riferimento alla disciplina, ormai disapplicata dall’art. 88 del CCNL del 3.11.2022 del Comparto della Sanità, contenuta nel previgente art. 26 del CCNL del 20.09.2001 del medesimo Comparto. Ancora in un quesito del 19 ottobre 2022, relativo questa volta all’art. 67 del CCNL del 19.12.2019 dell’Area dirigenziale sanitaria, si affermava che “sia con la la locuzione “conclusione favorevole del procedimento” sia con la locuzione “proscioglimento da ogni addebito” – entrambe già presenti anche nelle norme contrattuali previgenti al CCNL dell’ Area della Sanità 2016/2018 – si è inteso fare riferimento a procedimenti giurisdizionali conclusisi con sentenze passate in giudicato che escludano la responsabilità del dirigente. E’ evidente che solo una pronuncia sul merito può addivenire ad un simile accertamento mentre pronunce di archiviazione emesse a conclusione della fase istruttoria, prodromica al vero e proprio giudizio di responsabilità e quindi al vaglio del merito, non consentono il rimborso delle spese legali sostenute dal dirigente”.
6 Vds., da ultimo, art. 1, comma 12-quinques, lettera a), del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dalla Legge 21 giugno 2023, n. 74.
7 Cfr., per le prime applicazione giurisprudenziali della disciplina, la sentenza della Corte dei Conti delle MARCHE del 22 dicembre 2023 n. 140, che in dichiarata adesione ad un precedente della Sezione di Appello della Sicilia della medesima Corte dei Conti ((Sez. App. Sicilia, sent. n. 62/2023), secondo la quale, alla luce delle nuove regole, “il giudice contabile debba accertare non soltanto la volontà della condotta posta in essere in violazione degli obblighi di servizio ma anche la volontà degli effetti di tale condotta, ossia dell’evento dannoso per la P.A. Al riguardo, occorre rammentare che la relazione illustrativa al D.L. n. 76/2020 ha sottolineato che: In materia di responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, la norma chiarisce che il dolo va riferito all’evento dannoso in chiave penalistica e non in chiave civilistica, come invece risulta da alcuni orientamenti della giurisprudenza contabile, che hanno ritenuto raggiunta la prova del dolo inteso come dolo del singolo atto compiuto“. In ossequio a tale nuovo assetto normativo, la giurisprudenza ha, pertanto, rilevato la necessità di un “adattamento”, nell’ambito del giudizio contabile, dell’accertamento del dolo secondo i canoni penalistici….”Ne consegue che il concetto di “dolo dell’evento”, la cui sussistenza nel diritto penale è giustificata dall’esegesi della condotta tipica del reato, nel diverso contesto dell’illecito contabile deve necessariamente tener conto delle peculiarità di quest’ultimo, nonché dell’interesse erariale, che è un interesse composito, determinato dal concorso di diverse norme e disposizioni ordinamentali, che non possono per loro natura essere tutte oggetto di volizione – e sovente neppure di rappresentazione – da parte del soggetto pubblico agente…Ne deriva che nel dolo erariale (nella frequente forma del dolo eventuale) “l’adesione psichica dell’agente è, dunque, rivolta non solo alla condotta illecita e anti-doverosa bensì anche alle sue conseguenze dannose, che costituiscono un evento accessorio e collaterale non oggetto di volizione diretta e immediata da parte del soggetto agente, che, ciò nonostante, si autodetermina ugualmente nella propria condotta, accettando la prospettiva di cagionare un danno all’erario”(Sez. App. Sicilia cit.).” .

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