L’“ipocrisia” dei concorsi pubblici in una recente (e condivisibile) sentenza del Tar Marche-Ancona

La sentenza del TAR Marche- Ancona, del 16 gennaio 2024, già oggetto di una news di questa blog giuridico si segnala anche per alcune considerazioni forse “metagiuridiche” ma davvero illuminanti delle problematiche che, da sempre, affliggono lo strumento del concorso pubblico specie laddove esso si innesti su rapporti di lavoro precario o di collaborazione già in essere e magari costituisca una forma di stabilizzazione dei medesimi e, quindi, si confronti con le aspettative di carriera dei candidati. Nell’esaminare, difatti, un vizio di incompatibilità di uno dei componenti della commissione (che avrebbe avvantaggiato taluno dei candidati in sede di formazione del bando), il TAR Marche afferma che “al riguardo va in premessa osservato come sia necessario squarciare un velo di ipocrisia che connota, in generale, vicende come quelle all’esame odierno del Tribunale. In effetti, nel mondo accademico (ma il fenomeno riguarda in generale le procedure di accesso stabile al pubblico impiego del personale “precario” o quelle finalizzate alla promozione a qualifiche superiori. A quest’ultimo riguardo si pensi alle procedure per le promozioni ai gradi apicali delle Forze Armate, in cui i candidati sono ex lege già noti alle Commissioni di Avanzamento in quanto iscritti per l’appunto in quadri di avanzamento) tutti sanno che la carriera del personale docente, dei ricercatori e degli assegnisti di ricerca si articola attraverso alcuni passaggi fondamentali, a cui ci si deve preparare per tempo. Questa “preparazione” consiste in particolare nell’onere dei potenziali candidati di svolgere attività accademica e di ricerca, nonché di pubblicare scritti scientifici che abbiano determinati requisiti minimi, tutto ciò in attesa che venga bandita la procedura selettiva a cui ciascun potenziale candidato intende partecipare. In questo contesto è del tutto normale che ogni potenziale candidato: a) orienti la propria attività di ricerca e di insegnamento e le proprie pubblicazioni nei settori o nelle materie che in un certo arco temporale assumono maggiore importanza nella comunità scientifica e che, dunque, in sede concorsuale siano in teoria maggiormente apprezzate dalle commissioni esaminatrici; b) maturi una legittima aspettativa a che la procedura selettiva sia indetta con celerità, onde coronare in tempi ragionevoli le proprie aspirazioni accademiche e professionali. In questo senso è altresì normale che ogni potenziale candidato si rivolga al proprio “referente” (che a seconda dei casi può essere il professore titolare della cattedra, il direttore di un dipartimento, e così via) al fine di conoscere i tempi di presumibile indizione della procedura ed è altrettanto normale che il “referente”, se è in grado, fornisca risposte a tali richieste, sempre che, ovviamente, ciò non dia luogo ad un’asimmetria informativa fra i potenziali candidati e/o al confezionamento di bandi “su misura” o ad personam. E nemmeno si può evitare in assoluto che, in via informale, siano noti in anticipo i nominativi di alcuni possibili candidati, visto che: – tale conoscenza non riguarda in ogni caso tutti i potenziali partecipanti (e con riguardo al caso di specie va rimarcato che alla presente procedura avrebbero potuto partecipare candidati provenienti da tutta Italia e dunque non solo gli “interni” già noti al presidente della commissione); – il fatto che un soggetto abbia manifestato interesse per la partecipazione ad una selezione non implica necessariamente che egli presenti effettivamente la domanda o che la presenti entro il termine di scadenza fissato dal bando o, ancora, che la domanda sia considerata ammissibile dall’ufficio incaricato dell’istruttoria”. Insomma, se così fan tutti- sembrerebbe dire il Giudice amministrativo, “quello che rileva è che, dal punto di vista formale, la commissione proceda alla determinazione dei criteri di valutazione prima di prendere ufficialmente visione dell’elenco dei candidati ammessi (il che nella specie non è in discussione)”.

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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