Le ferie sono sacre e lo stipendio anche, specie se lo dice la Corte di Giustizia UE!

Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. lav. 21 maggio 2024 n. 14089) consolida e conferma l’orientamento formatosi sulla nozione di retribuzione da applicare al fine di determinare il compenso spettante ai lavoratori subordinati in occasione della fruizione delle ferie annuali.
Si afferma, difatti, a chiare lettere che l’espressione “ferie annuali retribuite”, impiegata dall’art. 7, n. 1, della Direttiva UE n. 88 del 2003, impone che, per la durata delle ferie annuali, deve essere necessariamente mantenuta la retribuzione (ovvero l’intera retribuzione) che il lavoratore percepisce ordinariamente in occasione del rapporto di lavoro (Cass. n. 18160/2023 e successive conformi, con richiamo a CGUE 20.1.2009, C-350/06 e C-520/06, Schultz-Hoff).
Insomma il legislatore europeo, per come interpretato dalla Corte di Giustizia, ha inteso prevedere una sorta di parallelismo perfetto anche sul piano stipendiale dei due periodi di lavoro (quello di lavoro attivo e quello di congedo per ferie, per intendersi), muovendo dal rilievo che un’eventuale diminuzione della retribuzione, durante la fruizione delle ferie, potrebbe avere effetti dissuasivi sul loro effettivo godimento da parte del lavoratore in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. CGUE 15.9.2011, C-155/10, Williams; CGUE 13.12.2018, C-385/17, Torsten Hein).
Viene, quindi, nuovamente sancita dall’ordinamento comunitario la centralità delle ferie nell’ambito della dinamica di un qualsiasi rapporto di lavoro subordinato, intese quale ineliminabile ed irrinunciabile momento di riposo e di stacco non solo insuscettibile di essere monetizzato ma da salvaguardare quale vero e proprio presidio al recupero psicofisico della “fatica” del lavoro a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (cfr. CGUE 13.1.2022, C-514/20, DS c. Koch).
Ed è ancora la Suprema corte, nella sentenza surrichiamata, a ribadire quale sia il rilievo dei precedenti della Corte di Giustizia UE sul piano interno. Si tratta, difatti, di pronunzie che hanno efficacia vincolante e diretta nell’ordinamento nazionale, sicché i giudici di merito non possono prescindere dall’interpretazione data dalla Corte europea, che costituisce ulteriore fonte del diritto dell’Unione europea, non nel senso che esse creino ex novo norme UE, bensì in quanto ne esplicitano e chiariscono il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia generale nell’ambito dell’Unione (cfr. Cass. n. 13425/2019, n. 22577/2012).
Alla luce di tali premesse occorre, quindi, verificare, con riferimento ai diversi settori economici del nostro paese, ivi compresi quelli regolati dal D. Lgs. n. 165 del 2001 e dalla contrattazione collettiva dell’ARAN, se, in occasione delle ferie, sia davvero e sempre assicurata la necessaria e piena corrispondenza con le voci che compongono ordinariamente quella retribuzione in ragione delle mansioni affidate.
Si tratta, in altri e più chiari termini, di verificare che, anche durante le ferie, sia garantito il mantenimento dello stipendio correlato all’esecuzione delle mansioni affidate ed allo status personale e professionale di quel determinato lavoratore (cfr. Cass. n. 13425/2019 cit., così come, per il caso del mancato godimento delle ferie, Cass. n. 37589/2021).
Il tutto con la consapevolezza che, persino, eventuali difformi discipline interne sono destinate a soccombere in ragione del carattere cogente e sovraordinato dell’Ordinamento comunitario come accaduto nel caso del del personale navigante dipendente di compagnia aerea. E’ stato, ad esempio, statuito che rientrasse, nella retribuzione dovuta anche in occasione delle ferie, l’importo erogato a titolo di indennità di volo integrativa, sancendo la contestuale nullità della relativa diversa disposizione del contratto collettivo nazionale (in quel caso l’art. 10 del CCNL Trasporto Aereo – sezione personale navigante tecnico) per contrasto con la disciplina dell’art. 4 del D.Lgs. n. 185/2005 (che attuava la direttiva 2000/79/CE relativa all’Accordo europeo sull’organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo dell’aviazione civile – Cass. n. 20216/2022).
Sicché, non diversamente dal caso oggetto della sentenza qui commentata (Cass., Sez. lav. 21 maggio 2024 n. 14089), sembra davvero doversi concludere che, quale regola generale, la retribuzione da percepire in occasione delle ferie debba necessariamente includere tutte le voci retributive (anche a carattere accessorio) che sono comunque abitualmente correlate ad una determinata attività professionale.
Poco importa, per rimanere a quel caso, che le “indennità di utilizzazione professionale (IUP)” o l’indennità “per assenza dalla residenza” del personale ferroviario siano, per così dire, in tutto o in parte legate all’effettiva presenza in servizio ed al lavoro effettivo.
Ciò che conta, come afferma in modo limpido la Suprema Corte, è che “Nell’interpretazione delle norme collettive che regolano gli istituti di cui è stata chiesta l’inclusione nella retribuzione feriale è necessario tenere conto della finalità della direttiva, recepita dal legislatore italiano, di assicurare un compenso che non possa costituire per il lavoratore un deterrente all’esercizio del suo diritto di fruire effettivamente del riposo annuale. Tale effetto deterrente può, infatti, realizzarsi qualora le voci che compongono la retribuzione nei giorni di ferie sono limitate a determinate voci, escludendo talune indennità di importo variabile (previste dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale) che sono comunque intrinsecamente collegate a compensare specifici disagi derivanti dalle mansioni normalmente esercitate. 17. La giurisprudenza UE ha, invero, chiarito che il lavoratore, in occasione della fruizione delle ferie, deve trovarsi in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro; ciò in quanto il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite va considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale UE, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla stessa direttiva”.
E’, quindi, intuibile che il consolidarsi di una simile giurisprudenza impone, innanzitutto, alle parti collettive (anche dei comparti e delle aree pubbliche) di vigilare sul rispetto e sulla conformità con tale orientamento delle regole dei diversi contratti collettivi che definiscono il trattamento economico in godimento in occasione delle ferie, richiedendo eventuali modifiche tutte le volte che si discosti da quello ordinariamente percepito.
In secondo luogo esso consente, da subito, ai singoli lavoratori (pubblici o privati che siano) di poter eventualmente rivendicare trattamenti retributivi migliorativi, qualora siano stati corrisposti loro compensi deteriori in occasione delle ferie, unitamente ai correlati arretrati eventualmente maturati almeno per i periodi non coperti da prescrizione ex art. 2948 c.c.
Invero, come ancora precisa Cass., Sez. lav. 21 maggio 2024 n. 14089, “la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore” (sent. CGUE Williams cit., par. 21); che ‘”l’ottenimento della retribuzione ordinaria durante il periodo di ferie annuali retribuite è volto a consentire al lavoratore di prendere effettivamente i giorni di ferie cui ha diritto”, e che “quando la retribuzione versata a titolo del diritto alle ferie annuali retribuite previsto all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 (…) è inferiore alla retribuzione ordinaria ricevuta dal lavoratore durante i periodi di lavoro effettivo, lo stesso rischia di essere indotto a non prendere le sue ferie annuali retribuite, almeno non durante i periodi di lavoro effettivo, poiché ciò determinerebbe, durante tali periodi, una diminuzione della sua retribuzione” (sent. CGUE Torsten Hein cit., par. 44); che il giudice nazionale è tenuto a interpretare la normativa nazionale in modo conforme all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, con la precisazione che “una siffatta interpretazione dovrebbe comportare che l’indennità per ferie retribuite versata ai lavoratori, a titolo delle ferie minime previste da tale disposizione, non sia inferiore alla media della retribuzione ordinaria percepita da questi ultimi durante i periodi di lavoro effettivo” (sent. CGUE Torsten Hein cit., par. 52); che “occorre dichiarare che, sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per sé ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (sent. CGUE Williams cit., par. 23), sicché “qualsiasi prassi o omissione da parte del datore di lavoro che abbia un effetto potenzialmente dissuasivo sulla fruizione delle ferie annuali da parte di un lavoratore è incompatibile con la finalità del diritto alle ferie annuali retribuite” (sent. CGUE Koch cit., par. 41).
In conclusione non solo le ferie sono un diritto irrinunciabile ma alcun ostacolo, anche economico, deve essere frapposto alla loro effettiva fruizione sicché, anche in tale occasione, a ciascun lavoratore deve essere assicurato lo stesso trattamento retributivo ordinariamente in godimento.
Il tutto con l’ulteriore precisazione che, in attesa delle modifiche di eventuali difformi discipline interne (siano esse a carattere legislativo o della contrattazione collettiva), i singoli lavoratori potranno comunque ottenere, in via contenziosa, il riconoscimento di siffatto diritto previa, ove necessario, la disapplicazione e/o la pronunzia della nullità delle diverse discipline interne per contrasto con l’ordinamento comunitario così come inteso ed applicato dalla Corte di Giustizia Ue nelle sentenze menzionate in precedenza.

 

a cura di Avv. Mauro Montini

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