Indebiti stipendiali e forme di recupero, tra l’art. 2033 c.c. e l’art. 40, c. 3 quinquies, d. lgs. n. 165/2001

La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17648 del 20 giugno 2023, interviene sulle modalità di recupero degli indebiti stipendiali, nell’ambito di una controversia che era stata originata dalla richiesta di restituzione, al ragioniere capo di un comune (poi collocato in pensione), di quanto a suo tempo percepito a titolo di retribuzione di risultato, perché risultato non dovuto.
Nel riformare le diverse conclusioni della Corte di Appello di Firenze, la Suprema Corte afferma a chiare lettere, sia pure relativamente alla disciplina speciale dell’art. 4 D. L. n. 16 del 2014 conv. in L. n. 68 del 2014, ma con conclusioni del tutto sovrapponibili a quella “regime” dell’art. 40, comma 3 quinquies, D. Lgs. n. 165 del 2001, che gli enti pubblici hanno a disposizione due strumenti per procedere al recupero delle somme risultate indebitamente erogate al proprio personale.
E ciò anche nell’ipotesi in cui l’indebito ed il conseguente recupero abbia, per così dire, una dimensione collettiva ovvero scaturisca da eventuali errori che involgono la stessa disciplina della contrattazione collettiva decentrata o le sue modalità applicative (si pensi, solo a titolo esemplificativo, ad eventuali compensi oppure a progressioni in carriera riconosciuti in violazione dei limiti finanziari posti alla contrattazione decentrata o ai criteri meritocratici).
Infatti, si afferma che tale disposizione non deroga all’articolo 2033 c.c, ed, anzi, in ragione della sua specialità, deve essere letta ed applicata in maniera restrittiva. Sicché, conclude la Suprema Corte, il menzionato art. 4 ha, semplicemente, previsto un “meccanismo di riassorbimento delle risorse illegittimamente utilizzate per mezzo della contrattazione integrativa che opera all’interno della stessa P.A., nel senso che ne limita l’autonomia nella gestione delle disponibilità future, e si aggiunge al rimedio generale dell’articolo 2033 c.c.”.
Orbene, sono senz’altro condivisibili le preoccupazioni anche di buon senso che vengono poste a fondamento di tale conclusione, ben esplicitate, peraltro, dai passaggi che seguono della motivazione dell’ordinanza n. 17648 del 2023: “Questa lettura del testo normativo condurrebbe, poi, ad un esito incoerente, in quanto:- da un lato, impedirebbe alla P.A. di riscuotere la somma indebitamente pagata da chi con certezza l’ha percepita e, dunque, ben potrebbe restituirla, il quale, cosi’, beneficerebbe di un arricchimento definitivo; – dall’altro, imporrebbe di recuperare detto importo “sulle risorse finanziarie a questa destinate, rispettivamente al personale dirigenziale e non dirigenziale”, “mediante il graduale riassorbimento delle stesse, con quote annuali e per un numero massimo di annualita’ corrispondente a quelle in cui si e’ verificato il superamento di tali vincoli” e, quindi, nella sostanza, sulla eventuale retribuzione futura degli altri dipendenti”.
Nondimeno è altrettanto innegabile che la pronunzia non si confronti e sorvoli decisamente sulla posizione del lavoratore che tali somme abbia a suo tempo percepito nella convinzione, del tutto incolpevole, della loro piena stabilità e corrispettività rispetto alle prestazioni rese nella cornice regolatoria (anche interna) del proprio ente.
Insomma, seppure come ben noto ai lettori di questo blog la Corte costituzionale (con la sentenza Corte Costituzionale, 27/01/2023, n.8) abbia superato i “mal di pancia” che erano scaturiti dalla giurisprudenza della Corte EDU proprio in merito alle modalità applicative della disciplina dell’art. 2033 c.c. da parte degli enti pubblici/datori di lavoro, continua ad aleggiare il fantasma della tutela dell’affidamento del lavoratore che, almeno a mio avviso, non sembra potersi esaurire sul piano delle modalità di recupero (ovvero della rateizzazione delle somme da restituire) o di tutt’altro che agevoli eventuali responsabilità risarcitorie da modulare “dentro le coordinate della responsabilità precontrattuale, sempre che ricorrano gli ulteriori presupposti applicativi del medesimo illecito” (così Corte Costituzionale, 27/01/2023, n.8, cit.).
Per un verso, è agevole replicare che, anche alla luce della cornice decennale della prescrizione dell’eventuale azione di recupero, il lavoratore viene non solo ad essere esposto a richieste restitutorie potenzialmente ingenti (specie nel caso di indebiti correlati ad erronee progressioni di carriera), rispetto alle quali la rateizzazione sembra assumere una dimensione meramente palliativa o comunque dai contorni lasciati ad un’amplissima discrezionalità della “disperazione” del caso concreto.
Per altro verso tale deficit di tutela è difficilmente colmabile dall’art. 1337 c.c., ove riferito alla tutela dell’affidamento legittimo rispetto alla conclusione di un contratto o rispetto al perfezionamento di un contratto non invalido né affetto da un vizio cosiddetto incompleto. Anche a scorrere la (peraltro) stringata casistica menzionata dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 8 del 2023 (“ad esempio, quello alla legittimità e alla correttezza di un provvedimento emanato da una pubblica amministrazione (ex multis, Cass., sez. un., 15 gennaio 2021, n. 615, e 13 maggio 2019, n. 12635), così come l’affidamento riferito alla esattezza e alla correttezza di informazioni fornite da soggetti che spendono una particolare professionalità (ex multis, Cass. 9 dicembre 2019, n. 32026; 28 febbraio 2012, n. 3003)”, emerge un percorso dai contorni a dir poco ristretti e difficilmente in grado di assicurare un’effettiva tutela alla legitimate expectation ingenerata in capo al lavoratore dal suo datore pubblico pubblico.
Paradossalmente, l’ordinanza qui in commento, neppure in linea con altra giurisprudenza formatasi in tema di indebiti del personale della Croce Rossa Italiana, conferma l’insoddisfazione per un’applicazione tout court della disciplina dell’indebito oggettivo al rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici.
Difatti, acclarato che neppure l’art. 4 D.L. n. 16 del 2014 (ovvero l’attuale art. 40, comma 3 quinquies, D. Lgs. n. 165 del 2001) risulta di ostacolo all’applicazione delle regole dell’art. 2033 c.c., v’è di nuovo da chiedersi se, laddove l’indebito abbia una innegabile dimensione “collettiva” ovvero discenda da fatti ed atti esclusivamente imputabili al datore di lavoro, il lavoratore pubblico “in buona fede” non possa e debba invocare la tutela dell’affidamento (nella dimensione degli artt. 1175 e 1375 c.c.) a strumento di limitazione dei recuperi, senza scomodare i nebulosi ed indefiniti contorni dell’art. 1337 c.c.
Oltretutto, il “danno” conseguente a tali atti e compensi illegittimi potrebbe essere recuperato sul piano della responsabilità erariale di chi li ha determinati.
In questa ottica l’art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (nella formulazione vigente ex art. 63, comma 1, D.L n. 77 del 2021, conv. in L. n. 108 del 2021) sembrerebbe un possibile punto di caduta che, “tracimando” dalle regole del potere pubblico e del procedimento amministrativo, potrebbe essere esteso anche all’agire privatistico delle pubbliche amministrazioni, intervenendo sul piano temporale dell’esercizio dell’azione ex art. 2033 c.c. , da esercitare entro un “termine ragionevole comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici” (art. 21 nonies, comma 1, della legge n. 241 del 1990).
Si è consapevoli che si tratta soltanto di uno spunto di riflessione, che necessiterebbe di un nuovo intervento della Corte costituzionale o di un legislatore meno distratto, ma sembra altrettanto innegabile che l’introduzione di un termine decadenziale “ragionevole”, all’esercizio dell’azione di ripetizione degli indebiti retributivi (almeno di quelli a dimensione collettiva), potrebbe consentire di contemperare, appieno, l’affidamento dei lavoratori e la tutela delle finanze pubbliche in una chiave finalmente rispettosa della giurisprudenza della Corte Edu e del principio di “autoresponsabilità” dei soggetti pubblici che, da ultimo, rinverrebbe la sua “chiusura” nel sorgere di eventuali profili di responsabilità erariale ove ne ricorrano i presupposti in concreto.

A cura di Avv. Mauro Montini

Torna in alto