Il mobbing, questo sconosciuto

Una sentenza della seconda metà del mese di maggio 2023 del TAR del Lazio- Roma conferma quanto non sia agevole ravvisare in concreto la sussistenza di una situazione di mobbing. Invero, nel rigettare il ricorso proposto da un ufficiale del Corpo della Polizia Pwenitenziaria, il Collegio rammenta che “per giurisprudenza costante, per mobbing da demansionamento si intende comunemente, in assenza di una definizione normativa, una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti di un lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti o incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del lavoratore, tale che ne consegua un effetto lesivo della sua salute psicofisica; pertanto, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro, sono rilevanti: a) la molteplicità e globalità di comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche di per sé leciti, posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente secondo un disegno vessatorio; b) l’evento lesivo della salute psicofisica del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e la lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio. Tale condotta di mobbing del datore di lavoro va esposta nei suoi elementi essenziali dal lavoratore, che non può limitarsi a genericamente dolersi di esser vittima di un illecito (ovvero ad allegare l’esistenza di specifici atti illegittimi), ma deve quanto meno evidenziare qualche concreto elemento in base al quale il giudice amministrativo, anche con i suoi poteri ufficiosi, possa verificare la sussistenza nei suoi confronti di un più complessivo disegno preordinato alla vessazione o alla prevaricazione, in quanto, la pur accertata esistenza di uno o più atti illegittimi adottati in danno di un lavoratore non consente di per sé di affermare l’esistenza di un’ipotesi di mobbing, laddove il lavoratore stesso non alleghi ulteriori e concreti elementi idonei a dimostrare l’esistenza effettiva di un univoco disegno vessatorio o escludente in suo proprio danno (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 12 marzo 2012, n. 1388)”. Insomma è solo al ricorrere di tutti tali elementi che si può qualificare in termini avversativi la condotta sofferta.

a cura dello Studio legale Avv. Mauro Montini 
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