La parabola dello smart working dal Covid-19 al caro energia

Il periodo più grave della pandemia è ormai alle spalle e tanto si è parlato, soprattutto negli ultimi mesi, del famoso “ritorno alla normalità” anche in ambito lavorativo. Normalità che si traduce nella riproposizione di modelli organizzativi classici e fino a pochi anni fa dati per scontati, che catalizzano l’attenzione sulla prestazione dell’attività lavorativa presso gli spazi aziendali (ovvero, in presenza) ed omettono di confrontarsi con temi di attualità quali i tempi di spostamento e di percorrenza per recarsi sul luogo di lavoro, la conciliazione vita-lavoro od il raggiungimento della massima efficienza nello svolgimento dei compiti assegnati al di là del segmento orario e dello spazio fisico nel quale realizzarli.
In questo periodo connotato dall’aumento del costo dell’energia molte aziende stanno riscoprendo (per la seconda volta, dopo la pandemia) le opportunità connesse allo smart working. Il ragionamento che ne è alla base è chiaro e lineare: il costo degli impianti di produzione e dell’apertura degli uffici per le ore necessarie allo svolgimento dell’attività, a causa dell’aumento esponenziale delle utenze dell’energia, è notevolmente aumentato, ed una razionalizzazione delle spese non può non sollecitare la ricerca di diverse soluzioni organizzative, quali appunto il ricorso al lavoro agile. È in questo senso che l’attivazione dello smart working consente di spegnere le luci, i computer ed i riscaldamenti per interi uffici o stabilimenti produttivi per alcune ore al giorno o perfino per alcuni segmenti della settimana o del mese prefissati, concorrendo di conseguenza all’abbattimento dei costi della gestione aziendale.
Se tale soluzione giovasse al datore di lavoro (anche pubblico, chiaramente), potrebbe non essere parimenti satisfattiva per il dipendente che, a fronte della possibilità di lavorare “da casa”, sarebbe costretto a sobbarcarsi costi che altrimenti, lavorando nelle ordinarie sedi, non subirebbe. Insomma, il rischio è quello di scadere in un problema opposto, ovvero costringere taluni lavoratori a prestare la propria attività da casa con un aumento dei costi forse e talvolta non completamente compensabile con i vantaggi connessi alla conciliazione vita-lavoro e con i risparmi in termini di trasporti e gestione del ménage familiare.
Ma il rinato interesse per lo smart working porta con sé un ulteriore fattore di complessità, in quanto rischia di tracciare ancora una volta un solco profondo tra il settore privato e quello pubblico. Invero, fino al 31/12/2022 (salve ulteriori proroghe) le aziende private possono ricorrere allo smart working cd. emergenziale anche al fine di abbattere i costi dell’energia. Ciò significa che il datore di lavoro privato può intervenire sul punto – per così dire – in via unilaterale, senza necessità del previo accordo individuale. Nel contesto pubblico, chiaramente, la complessa macchina burocratica viaggia su ritmi differenti e richiede necessariamente un accordo individuale: senza di esso non è possibile attivare il lavoro agile né, di conseguenza, ottenere per tale via alcun risparmio di spesa, ed anzi è sufficiente che un solo dipendente sia contrario affinché il piano di abbattimento dei costi salti in aria. È chiaro, infatti, che per consentirgli di lavorare in sede dovrebbe essere comunque tenuto aperto l’ufficio (se non addirittura l’intero edificio), con conseguenze diseconomiche e financo irrazionali.
Insomma, la necessità di pervenire ad un risparmio di spesa rischia di scontrarsi con le regole dell’accordo individuale, che in quest’ottica finisce per rappresentare non uno strumento per regolare il modo con cui viene svolta la prestazione in lavoro agile, ma un pesante vincolo operativo. La soluzione potrebbe essere quella di ripensare il contenuto dell’accordo individuale ed attribuire il ruolo di fonte dello smart working (inteso come decisione organizzativa) ad altri strumenti, quali ad esempio, l’attivazione di un confronto sindacale o il ricorso alla contrattazione decentrata.
In definitiva, l’impiego dello smart working inteso come opportunità organizzativa anche per il settore pubblico e non più solo come rimedio emergenziale rappresenta un’alternativa al modello organizzativo tradizionale che potrebbe condurre a risultati positivi sia in termini di efficienza, che in termini di risparmio di spesa, nell’ottica del complessivo buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
E tutto ciò si tradurrebbe, in ultima analisi, in un risparmio di spesa non solo di quel determinato Comune o di quel determinato ente pubblico, ma in un risparmio di spesa pubblica e, quindi, della collettività.

A cura di Avv. Samuele Miedico

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