Non è semplice fare il «whistleblowing»

Alcune recenti sentenze sia del Giudice amministrativo (cfr. Tar Lazio-Roma, I-quater, 7 gennaio 2023, n. 235 e 236) sia del Giudice ordinario (cfr. Cass., Sez. Lav., Ord., 31 marzo 2023 n. 9148) richiamano l’attenzione sul ruolo e sulla dimensione delle tutele approntate dal legislatore a favore del cd. Whistleblowing.
Merita rilevare preliminarmente che tale figura ha trovato una sua iniziale disciplina e collocazione sistematica all’interno delle disposizioni del T.U. del lavoro pubblico (cfr. art. 54 bis D Lgs. n. 165 del 2001 introdotto dall’ dall’articolo 1, comma 51, della Legge 6 novembre 2012, n. 190). E’, quindi, in tale orizzonte regolatorio, che si collocano gli arresti giurisprudenziali surrichiamati.
Essi sembrano, peraltro, destinati a mantenere un indubbio interesse seppure siffatta disciplina sia oramai prossima ad esaurire i suoi effetti per effetto dall’articolo 23, comma 1, lettera a) del D.Lgs. 10 marzo 2023, n. 24 che ne ha disposto l’abrogazione con effetto a decorrere dal 15 luglio 2023. Infatti, almeno in parte qua, il d. lgs. 10 marzo 2023, n. 24, che dà attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali.
In questo contesto il Giudice amministrativo ha, innanzitutto, ben chiari gli effetti anche “distorsivi” e, per certi versi, persino “ritorsivi” che lo strumento in parola può assumere al di là della sua indubbia funzione ed utilità all’interno di qualsiasi organizzazione complessa. Si intende dire che, chiunque di noi, comprende come, a fronte di ragioni anche limpidamente genuine di tutela degli interessi pubblici e collettivi, dietro la decisione di inviare esposti o denunzie all’ANAC (o più in generale alle organi di vigilanza e di garanzia anche interni ai singoli enti), possono esservi interessi, per così dire, egoistici, ovverosia lo scopo di ottenere, magari in via mediata, vantaggi e tutele personali, per non parlare, delle motivazioni più intime (non sempre apprezzabili almeno sul piano dell’etica), che possono fondare la scelta di effettuare una segnalazione, ma di cui giustamente il legislatore si disinteressa.
Il che non toglie, come condivisibilmente chiarito anche in una recente sentenza del TAR Lazio-Roma (cfr., TAR Lazio, Sez. I quater, 19/04/2023 n. 06775/2023) che «se è vero che le garanzie previste dall’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001 devono essere riservate alle sole segnalazioni che abbiano ad oggetto condotte lesive di un interesse collettivo o diffuso, a esclusione, quindi, di tutte quelle che riferiscono comportamenti lesivi di interessi meramente personali (egoistic blowers), è condivisibile quanto affermato da ANAC – prima con la delibera n. 782/2019 e poi ancora con le Linee Guida approvate con delibera 9 giugno 2021, n. 469 – in ordine al fatto che l’art. 54-bis non richiede che la segnalazione avvenga nell’esclusivo della p.a. e che, quindi, le tutele previste nella citata disposizione trovano applicazione anche quando l’interesse all’integrità della p.a. coincide o si accompagna con l’interesse privato del segnalante» (cfr. Tar Lazio, I-quater, n. 235/2023, sub 4.2.1 in diritto)”. Sicché, prosegue il Giudice amministrativo, calando siffatte conclusioni nella nuova disciplina come “una siffatta interpretazione della disciplina al tempo vigente in materia di whistleblowing appare coerente con quanto ora previsto dal d.lgs. n. 24/2023 – che ha recentemente riordinato la disciplina in materia, in attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 – all’art. 1, comma 2, lett. d), del quale è stato chiarito che le tutele in materia di whistleblowing si applicano ai dipendenti che «segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato» e che sono escluse dal regime di tutela le segnalazioni legate a un interesse di carattere personale del segnalante «che attengono esclusivamente ai propri rapporti individuali di lavoro o di impiego pubblico» (con ciò che ne consegue in termine di applicabilità delle tutele a segnalazioni che, pur intercettando un interesse personale del segnalante, non riguardano esclusivamente il suo rapporto di lavoro, ma sono finalizzate anche a promuovere l’interesse pubblico e l’integrità della p.a.)”.
Una chiaro eco delle preoccupazioni per un uso, per così dire, non equilibrato dell’istituto, che può avere effetti perversi (e sicuramente non voluti) di destabilizzazione specie delle realtà amministrativi minori, si coglie nelle pronunzie del TAR del Lazio appena richiamate che “rispolverano” il principio, da sempre caro al diritto amministrativo e di chiara derivazione comunitaria, della proporzionalità ed adeguatezza della segnalazione.
Sicché, se non sono sottratte alle tutele del Whistleblowing anche eventuali segnalazioni “non riservate o pubbliche (ovvero inoltrate al di fuori degli appositi canali a ciò preposti)”, nondimeno il Giudice amministrativo sembra decisamente richiamare ad un uso responsabile dello strumento.
Tanto da affermare a chiare lettere, nel caso esaminato da TAR Lazio, Sez. I quater, 19/04/2023 n. 06775/2023, che la segnalazione “inviata a una pluralità di soggetti estranei alla previsione di cui all’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001” ha finito per “assumere il carattere di denuncia pubblica proposta in violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza, ovverosia in assenza di uno dei gravi motivi che giustificherebbero l’utilizzo di tale modalità”. Insomma la diffusività dell’esposto “(come, a tutt’evidenza, può essere qualificato un esposto inviato anche alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri oltreché a tutti gli ulteriori destinatari individuati dal -OMISSIS-) non era affatto giustificata dalla sussistenza di un pericolo imminente e palese per l’interesse pubblico, né da una precedente inerzia degli organi di controllo, né da alcun altro giustificato motivo tra quelli indicati dall’art. 15 della direttiva (UE) 2019/1937 (e, oggi, dall’art. 15, d.lgs. n. 24/2023)…rende evidente che l’iniziativa del -OMISSIS- è stata del tutto sproporzionata e inadeguata rispetto alle finalità di cui all’art. 54-bis, l. n. 165/2001, con ciò che ne consegue in termini di inapplicabilità alla stessa delle tutele previste dalla disciplina in materia di cd. whistleblowing”.
Ed una qualche continuità con siffatti esigenze pare doversi cogliere anche nell’arresto della Suprema Corte richiamato in premessa (Cass., Sez. Lav., Ord., 31 marzo 2023 n. 9148) che sottrae alla tutele dell’art. 54 bis, il dipendente che segnali illeciti di cui lui stesso sia o sia stato autore. Invero in quel caso “l’applicazione al dipendente di una sanzione per comportamenti illeciti suoi propri resta dunque al di fuori della copertura fornita dalla norma, che non esime da responsabilita’ chi commetta un illecito disciplinare per il solo fatto di denunciare la commissione del medesimo fatto o di fatti analoghi ad opera di altri dipendentigia’ la Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dalla Assemblea generale dell’ONU il 31 ottobre 2003 con risoluzione n. 58/4, ratificata e resa esecutiva in Italia con L. n. 116 del 2009, all’articolo 33 prevede che gli Stati adottino misure appropriate per proteggere chi segnali illeciti, da qualsiasi “trattamento ingiustificato”, tale evidentemente non potendo essere – e non meritando pertanto addirittura “protezione” – la commissione da parte propria, da soli o in concorso, di autonomi illeciti che nulla hanno a che vedere con tali segnalazioni; la Direttiva (UE) 2019-1937, la cui valenza interpretativa e’ innegabile, definisce del resto la protezione cui gli Stati membri devono indirizzare i loro interventi (articolo 19) nel senso del “divieto di qualsiasi forma di ritorsione”; essa e’ dunque finalizzata ad impedire conseguenze sfavorevoli per il fatto in se’ di avere segnalato illeciti, ma certamente non costruisce esimenti rispetto agli illeciti che la medesima persona avesse in ipotesi autonomamente ed altrimenti commesso, da sola o in concorso”.
Nel concludere queste brevi note e nella convinzione che la disciplina in questione rappresenti un importante ed ineludibile strumento di tutela degli interessi pubblici e di lotta ai fenomeni corruttivi, è innegabile che essa ponga davvero anche il tema di evitare possibili abusi e richiami tutti (operatori, organi inquirenti e giudici) ad un uso accorto ed equilibrato dello strumento.
Uno strumento che, difatti, sembra tuttora risentire dell’apprezzamento per lo più negativo che riscuote la figura del “fare la spia”ma che risponde innegabilmente ad un’esigenza di trasparenza dell’azione amministrativa che, come confermano anche le discipline sugli accessi (a partire da quello generalizzato), costituisce il baluardo maggiore per evitare usi opachi ed illeciti della cosa pubblica.

A cura di Avv. Mauro Montini

Torna in alto