Le suggestioni di un convegno

Vorrei innanzitutto ringraziare la prof.ssa Maria Paola Monaco e gli altri autorevolissimi relatori unitamente a tutti coloro che sono intervenuti all’incontro dello scorso 29 marzo 2023.
Infatti, se ancora oggi fatico a comprendere appieno l’attrazione che continua ad esercitare (almeno su di me) il pubblico impiego e la sua innegabile complessità e specialità regolativa, il convegno ha contribuito a disvelare ed a rafforzare l’idea che, in pochi ambiti come in questo, continuino ad intrecciarsi profili che involgono aspetti di diritto del lavoro e di diritto amministrativo innervati dalla responsabilità amministrativa quale strumento che non dovrebbe servire da monito o da alibi al non fare ma da verifica e rispondenza ultima dell’operato dei suoi attori ai fini della collettività.
Insomma, nel ripercorrere gli esiti (ancora in fieri) di una riforma che affonda le sue radici nell’ultimo decennio del secolo scorso, i relatori sono riusciti a illustrarne la perdurante attualità e la sussistenza di una visione unitaria che i numerosi interventi manutentivi, operati dal nostro legislatore in questi decenni (sino ad arrivare alle recenti norme collegate al PNRR), non hanno inciso, continuando, anzi, ad innervare i diversi ambiti del lavoro pubblico e le sue numerose burocrazie, che riflettono non a caso la complessità di questo paese e dei suoi livelli di governo.
Si ha, difatti, la sensazione che, sotto la crosta apparentemente sonnolenta del testo unico del pubblico impiego, ribollano le complessità dell’oggi che sono correlate finanche all’invecchiamento del paese e di riflesso, quasi inevitabilmente, dei suoi apparati burocratici, con la necessità non solo di aprire una nuova stagione di accesso a quegli impieghi ma di renderli maggiormente attrattivi ed appaganti per chi si affaccia alla scelta del proprio domani.
Ed in questo contesto, indubbiamente, il concorso pubblico, baluardo costituzionalmente inespugnabile ed egualitario delle aspirazioni di tutti coloro che ambiscono ai pubblici impieghi, sembrerebbe davvero destinato a mutare la sua pelle. Esso è, invero, chiamato ad aprirsi non solo all’uso massivo degli strumenti digitali (assurti in questi anni ad ennesimo rimedio delle tendenze inerziali della nostra pubblica amministrazione) ma soprattutto a verificare competenze che dovrebbero finalmente avere ad oggetto non solo il possesso di nozioni ma (e soprattutto) la capacità di impiegarle e di farlo in modo proficuo e correlato al ruolo che si dovrebbe andare poi a ricoprire in concreto.
Persino le parti collettive, che, sia pure in un alternarsi di amore-odio da parte del legislatore, continuano a giocare un ruolo di primissimo piano nella disciplina di gran parte degli istituti del rapporto di lavoro pubblico (con una efficacia erga omnes delle loro clausole del tutto ignota al lavoro privato), sono chiamate a scelte che le proiettino definitivamente al di fuori da una visione e da una concezione fordista del lavoro. E, quindi, condividendo quanto detto dai relatori, non è (quantomeno) solo sul piano della rivendicazione salariale o della carriera che esse dovrebbero muoversi bensì dovrebbero cercare di cogliere gli strumenti e gli spazi correlati al welfare ed alla necessità, avvertita, specie dalle generazioni più giovani, di coniugare lavoro e tempo libero, concorrendo -per quanto possibile- a superare quei fenomeni di stress lavoro correlato che, in taluni ambiti (si pensi alla sanità), hanno assurto livelli a dir poco di guardia.
In questa chiave le nuove prospettive di carriera, che il D.L. n. 80 del 2021 e la contrattazione collettiva del 2022 sembrano aver nuovamente dischiuso, saranno inevitabilmente un primo banco di prova nel quale cercare di non ripetere gli errori del passato, trasformando un mezzo di valorizzazione delle legittime aspirazioni degli impiegati e funzionari pubblici (o di “giusta” ricollocazione di chi svolge mansioni neppure rispondenti alla sua qualifica di formale inquadramento) in una sorta di todos caballeros che ha già dato pessima prova di sé all’indomani della tornata contrattuale 1998/2001.
Sicché, andando a concludere queste brevi righe di sintesi, nel rinnovare i ringraziamenti a tutti i relatori intervenuti ed al Dipartimento di Scienze Giuridiche che ci ha ospitati, anche la casistica, che è stata minuziosamente ripercorsa dalla Procuratrice della Corte dei conti, delle diverse ipotesi di responsabilità erariale dei dipendenti pubblici dovrebbe confortare dal rifuggire nella burocrazia difensiva.
Invero, se per certi versi sembrerebbe decisamente auspicabile una sorta di codificazione generalizzata dell’ammontare massimo del danno erariale risarcibile per colpa grave, non dissimile da quella operata dall’art. 9, comma 5, della legge n. 24 del 2017 in ambito di responsabilità sanitaria1, resta il punto che gran parte di quelle violazioni sono correlate a scelte scientemente operate dai singoli e dirette alla realizzare profitti indebiti. Si pensi, ad esempio, alla violazione dell’obbligo di esclusività ed alla percezione di compensi non autorizzati con il correlato sorgere degli obblighi restitutori a favore della propria amministrazione. Insomma, a fronte delle perduranti tentazioni (che accomunano anche il fastidio diffuso per la giustizia amministrativa e gli esiti delle sue verifiche giudiziali) di neutralizzare ogni e qualsiasi controllo contabile, il convegno ha rafforzato il convincimento che la magistratura contabile svolga un ruolo di tutela ineludibile non solo equilibrata ma, per così dire, necessitata dalla natura pubblica delle risorse impiegate.

Avv. Mauro Montini

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