Gli incerti confini del diritto alla conservazione del posto, durante il periodo di prova presso un altro ente, nel comparto delle funzioni centrali e degli enti locali

I contratti collettivi della tornata 2019-2021 delle Funzioni Locali e delle Funzioni Centrali pongono una delicata questione interpretativa legata al diritto alla conservazione del posto di lavoro presso l’ente di provenienza, in caso di dipendente a tempo indeterminato, che risulti vincitore di un concorso presso un’altra amministrazione.
Viene, difatti, affermato che il diritto di “tornare a casa” (ovvero la possibilità di ripristinare il primo rapporto di lavoro) può essere esercitato solo per la durata del diritto di prova “formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’amministrazione di destinazione” (così l’art. 25, comma 10, del CCNL Funzioni Locali o l’art. 19, comma 10, del CCNL Funzioni Centrali).
Siffatte disposizioni, che vogliono in primo luogo tenere conto della diversa durata del periodo di prova prevista nei diversi comparti (si pensi al personale docente della scuola), sono state di recente interpretate, in una nota dell’ARAN, in modo a dir poco riduttivo, valorizzando proprio l’uso dell’avverbio “formalmente”.
Si sostiene, più precisamente, che le parti collettive avrebbero inteso correlare il diritto alla conservazione del posto in termini oggettivi ed astratti avulsi dal concreto andamento del periodo di prova nel caso singolo, ovvero parametrandolo alla sola durata teorica (“formale”) prevista dai diversi contratti collettivi.
Sembra a chi scrive, in disparte anche dalla diversa formulazione che tale diritto rinviene tuttora nell’art. 40, comma 9, del CCNL della Sanità 2019-2021, che una simile interpretazione risulti completamente avulsa dal contenuto concreto del periodo di prova la cui durata è pacificamente ancorata al “solo servizio effettivamente prestato” e non alla sua scadenza teorica (o formale). Sicché, se “in caso di mancato superamento della prova o per recesso di una delle parti, il dipendente stesso rientra, a domanda, nell’Area, profilo professionale e differenziale economico di professionalità di provenienza” (così sempre l’art. 25, comma 10, del CCNL Funzioni Locali o l’art. 19, comma 10, del CCNL Funzioni Centrali), a meno di non ritenere che ci sia una qualche antinomia fra le proposizioni di quegli stessi commi, il diritto alla conservazione del posto non può che avere la stessa durata (effettiva) di quella della prova.
Si intende dire che, se la contrattazione collettiva configura siffatto diritto non solo come facoltà di ripensamento ma come vera e propria salvaguardia del posto di lavoro in caso di mancato superamento della nuova prova, è evidente che deve esserci una perfetta coincidenza di durata, atteso che – altrimenti- si finirebbe per tradire la finalità stessa della previsione di una simile tutela che vuole impedire a chi, un posto di lavoro ce l’aveva, di perdere anche quello.
Insomma pare sempre pienamente condivisibile quanto ancora si reperisce nei quesiti presenti sul sito dell’ARAN. Vi si afferma, sia pure relativamente alla previgente formulazione dell’art. 14-bis, comma 9, del CCNL del 6.7.1995 (come sostituito dall’art.20, comma 1, del CCNL del 14.9.2000) del Comparto delle Funzioni Locali che “sulla base di una interpretazione secondo principi di correttezza e buona fede della suddetta clausola contrattuale, il diritto alla conservazione del posto sussiste a favore del lavoratore interessato, presso l’ente di provenienza, per tutta l’effettiva durata del periodo di prova e non solo per il tempo, teorico, contrattualmente previsto per il suddetto periodo di prova presso l’amministrazione di nuova assunzione. Infatti, non si rinvengono specifiche motivazioni giuridiche idonee a giustificare diverse modalità di computo del periodo di prova in relazione alla circostanza che lo stesso sia prestato presso l’ente di provenienza oppure presso una diversa altra amministrazione. Pertanto, la garanzia per il dipendente si protrae fino a che il periodo di prova presso la nuova amministrazione non si sia completamente ed effettivamente concluso” (così parere RAL 1944 ARAN).
E’, quindi, senz’altro auspicabile non solo che l’ARAN riveda la sua attuale diversa determinazione ma che siffatte previsioni, anche per la loro rilevanza concreta, formino oggetto quanto prima di un accordo di interpretazione autentica che ne chiarisca il contenuto, così da scongiurare prassi applicative difforme e fonte solo di possibili contenziosi.

A cura di Avv. Mauro Montini

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