Il lavoro agile, pur portato in auge dall’emergenza pandemica da Covid-19, trova la propria regolamentazione negli articoli 18 ss. della L. n. 81/2017, ossia nel cosidetto Jobs act del lavoro autonomo, che lo definisce quale “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato […], anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, nella quale “La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa”, con lo scopo di “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.
Dunque, già prima della fase emergenziale il legislatore, resosi evidentemente conto della necessità di rendere il lavoro subordinato maggiormente flessibile e compatibile con le attuali esigenze di vita della collettività, ha introdotto le richiamate disposizioni al fine di promuovere un nuovo modello organizzativo di lavoro dipendente svincolato – come lo è quello autonomo – da obblighi di orario e di luogo.
Tali previsioni normative, ampiamente applicate durante il periodo pandemico, tuttavia, nel nostro paese faticano a trovano piena attuazione soprattutto a causa della diffusa tendenza di molti datori di lavoro pubblici e privati ad attribuire maggiore importanza alla presenza dei dipendenti in azienda, anziché ai risultati conseguiti e agli obiettivi dai medesimi raggiunti.
La resistenza di molti all’adesione al c.d. modello ibrido, consistente nell’alternanza tra lavoro in ufficio e remote working, peraltro, testimonia la diffusa miopia datoriale, incapace di comprendere che tale nuovo approccio al lavoro sarebbe vantaggioso per tutte le parti in gioco, come testimoniano le esperienze di altri paesi, come quelli del nord Europa nei quali il lavoro agile è ampiamente utilizzato già da anni nonché della Spagna e della Francia dove il ricorso a tale nuova modalità durante la pandemia ha profondamente rivoluzionato il mondo del lavoro.
Difatti, è evidente che lo svincolo del lavoro subordinato da obblighi di orario e di luogo promosso dal nostro legislatore dal 2017, consentirebbe ai dipendenti, non solo di abbattere i costi e i tempi di spostamento casa/lavoro, peraltro con un conseguente beneficio in termini di impatto ambientale, ma anche di addivenire a una più agevole ed efficiente gestione del rapporto tra la sfera professionale e quella privata, cosa che evidentemente li renderebbe più produttivi, in quanto focalizzati su i risultati da raggiungere, anziché sulle ore di lavoro da spendere in azienda.
La parte datoriale dal canto suo, oltre a ottenere un indubbio vantaggio economico, da non sottovalutare a fronte dell’attuale aumento del costo dell’energia, potrebbe non solo contare su lavoratori maggiormente soddisfatti e gratificati dall’autonomia e dal benessere acquisiti, ma avrebbe anche l’opportunità di attrarre professionalità residenti in altre città; il tutto, peraltro, continuando a godere dell’indispensabile aspetto relazionale, che sarebbe garantito – non solo dagli strumenti informatici di lavoro in uso – ma anche dalla presenza fisica dei lavoratori in azienda nelle giornate stabilite.
Per ottenere ciò, tuttavia, al di là delle richiamate previsioni normative nonché delle disposizioni della contrattazione collettiva in via di definizione quali quelle relative alle Funzioni Locali, la chiave sta nel coraggio di cambiare mentalità e cultura, abbandonando così l’ordinario modello secondo il quale viene retribuito il tempo a prescindere dai risultati e aprendo le porte a un nuovo assetto, nel quale si valutano i risultati a prescindere dal tempo che è occorso per raggiungerli o dell’orario nel quale l’attività lavorativa è stata prestata.
Insomma, se da un lato la libertà e discrezionalità riconosciuta agli smart worker nella scelta del luogo e dei tempi di lavoro richiede maggiore capacità da parte dei medesimi di organizzare la propria attività, dall’altro non si può prescindere da un netto cambiamento di mentalità e di approccio ad opera del datore di lavoro, al quale è richiesto un vero e proprio slancio di fiducia nei confronti dei propri dipendenti.
In conclusione, affinché anche nel nostro paese la normativa in materia di lavoro agile possa trovare concreta attuazione, oltre a dovere sciogliere alcuni importanti nodi quali ad esempio il diritto alla disconnessione, la tutela della salute e sicurezza nonché il tema della privacy, ciò che risulta imprescindibile è che – non solo il lavoratore – ma anche il datore di lavoro trovi il coraggio di diventare smart e di adottare il nuovo modello organizzativo che, valorizzando il merito e incoraggiando l’iniziativa, punta a creare un ambiente lavorativo basato sulla cultura della fiducia, nel quale si condividono idee e soluzioni per raggiungere i risultati prefissati.
A cura dell’Avv. Letizia Parigi