I nuovi ordinamenti professionali dei dipendenti pubblici alla prova dei CCNL del triennio 2019-2021

Il CCNL del 16 novembre 2022 del Comparto “Funzioni Locali” è stato preceduto dal CCNL delle Funzioni Centrali del 9 maggio 2022 e, quindi, da quello della Sanità del 3 novembre 2022.
E, seppure manchi ancora all’appello il rinnovo del comparto “Istruzione e Ricerca” è senz’altro possibile cominciare a vedere in che modo le parti collettive hanno attuato il compito che era stato assegnato dal legislatore del 2021 (cfr. l’articolo 3, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, conv. in L. 6 agosto 2021 n. 113) di rivitalizzare l’ordinamento professionale dei dipendenti pubblici, riaprendo, con maggiore coraggio e con maggiore consapevolezza, la stagione dei concorsi interni ed anzi prevedendo l’attivazione di “un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione” (art. 52, comma 1 bis, D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165).
Insomma i contratti collettivi del triennio 2019 – 2021 portano a compimento quello che, sin dal D. Lgs. n. 75 del 2017 (che – sia pure con qualche timidezza- aveva rimesso mano ai meccanismi di selezione interna), era venuto emergendo a livello legislativo, ovverosia la necessità di approcciarsi al tema della gestione del personale pubblico in una dimensione che non fosse soltanto di regolazione e di contenimento dell’evoluzione della spesa pubblica, ma che consentisse di valorizzare e di premiare quel personale, troppo spesso visto come un fattore di intralcio alle sorti brillanti e progressive del nostro paese.
Orbene, tutti i contratti collettivi hanno, quindi, portato a regime non solo la riscrittura dei rispettivi ordinamenti professionali, in una logica ed in una dimensione che vede coinvolte le organizzazioni sindacali anche in sede di successivo confronto e di contrattazione integrativa, ma hanno regolato e disciplinato i modelli che, si spera con maggiore fortuna che in passato (ovvero rispetto alla stagione delle progressioni interne che seguì ai rinnovi del quadriennio 1998/2001), dovrebbero regolare le “Progressioni economiche all’interno delle aree ” (art. 14 CCNL delle “Funzioni Locali” ovvero art. 19 del CCNL del Comparto della “Sanità” ovvero ancora l’art. 17 del CCNL delle “Funzioni Centrali”) ovvero le “progressioni fra le aree” (art. 15 CCNL delle “Funzioni Locali” ovvero art. 20 del CCNL del Comparto della “Sanità” ovvero ancora l’art. 17 del CCNL delle “Funzioni Centrali”).
E’ evidente che il modello risente delle solite e conclamate criticità che, da sempre, accompagnano qualsiasi tentativo di valorizzazione del personale interno stretto fra le inevitabili aspirazioni dei singoli e la necessità, da parte della dirigenza pubblica o comunque (specie negli enti locali) degli organi di vertice politico, di riconoscere i giusti meriti ai cosiddetti “migliori”.
Sicché, se resta, sullo sfondo dei nuovi modelli di carriera, la questione tuttora irrisolta dei meccanismi di valutazione della performance (che da criterio centrale di selezione continua ad essere appiattita su giudizi pressoché generalmente tendenti al 100% con soglie di scostamento che non scendono pressoché mai sotto al 90%), sembra innegabile che va, almeno in parte, attenuata una logica esclusivamente meritocratica con la consapevolezza che qualsiasi apparato organizzativo (pubblico o privato che sia) vive del contributo di tutti i suoi attori e che vanno rifuggite, per quanto è possibile, dimensioni prettamente individualistiche.
Si intende dire che, se non è questa la sede per un esame approfondito delle diverse modalità con cui i rinnovi del triennio 2019/2021 hanno dato attuazione al novellato art. 52 D. Lgs. n. 165 del 2001 (con forse l’indubbia singolarità ed assai dubbia legittimità della sostanziale mancata istituzione dell’area “del personale di elevata qualificazione” nel CCNL delle “Funzioni Locali”)”, non v’è dubbio che l’ennesima scommessa che occorre fare è sulla necessità, per tutti gli attori del sistema, di attribuire a tale nuovo modello di carriera pubblica un respiro (anche temporale) di tendenziale stabilità e che, accompagnato da seri e costanti momenti formativi, consenta di impedire una sorta di disinnamoramento diffuso per il proprio lavoro che conduce non pochi dipendenti a non percepire alcuna gratificazione lavorativa stante oltretutto la stessa rigidità della leva economica connotata com’è dal principio della parità di trattamento retributivo, di cui all’art. 45 D. Lgs. n. 165 del 2001, che impedisce qualsiasi differenziale economico ad personam.

A cura di Avv. Mauro Montini

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