Enti pubblici non economici, societa’ a partecipazione pubblica e mansionismo superiore: i confini del testo unico del lavoro pubblico

Alcune recenti sentenze della Suprema Corte di Cassazione permettono di operare una sorta di ricognizione dei confini applicativi del D. Lgs. 30.3.2001 n. 165 con specifico riferimento a talune ipotesi non direttamente ed immediatamente riconducibili alle forme più tradizionali e tipiche del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. E’ il caso:
• del personale degli enti pubblici non economici, che applicano, contratti collettivi di diritto comune (e non quindi riconducibili ad uno dei comparti o delle aree di cui agli artt. 40 e ss D. Lgs. n. 165 del 2001 e neppure sottoscritti dall’ARAN);
• ovvero del personale delle cd. società a partecipazione pubblica sottoposte alla disciplina del D.Lgs. 19.08.2016 n. 175.
Invero, nel caso dei primi (si tratta per lo più di enti che applicano il “contratto collettivo nazionale privatistico per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria”), si assiste al consolidarsi di un orientamento giurisprudenziale (cfr., da ultimo, Cass. sez. lav., 24/04/2023, n.10811) che tende a ridimensionare grandemente la “fuga” di quel rapporto di lavoro verso il modello del diritto comune, riaffermando come, alla natura pienamente pubblica del datore di lavoro, consegua la sua necessitata riconduzione all’interno della disciplina speciale, anche in punto di mansioni e di mansionismo di fatto, dell’art. 52 D. Lgs. n. 165 del 2001. Sicché “non può operare, per la prevalenza delle regole comuni del lavoro privatizzato ed in specie del d. lgs. 165 del 2001, art. 52, la disciplina di acquisizione del diritto all’inquadramento per effetto dell’esercizio di fatto delle corrispondenti mansioni superiori” (Cass. sez. lav., 24/04/2023, n.10811). Insomma, posto che il rapporto di lavoro degli operai forestali o dei lavoratori “addetti a sistemazione idraulica forestale e idraulica agraria” è disciplinato per lo più dal legislatore regionale, la Suprema Corte opera una rilettura di tali disposizioni secondo Costituzione, posto che “opinando diversamente e stante anche il disallineamento che si realizzerebbe rispetto all’assetto comune dell’impiego privatizzato, si dovrebbe sospettare la normativa regionale di violazione della Costituzione, art. 117, comma 2 lett. l) per avere essa disciplinato, come non le è concesso, materia propria dell’ordinamento civile” (così ancora Cass. sez. lav., 24/04/2023, n.10811 che richiama Corte Costituzionale 25 luglio 2022, n. 190). Da qui l’impossibilità di forme di progressione in carriera che esulino dai meccanismi selettivi sanciti dall’art. 52 D. Lgs. n. 165 del 2001, dovendosi rileggere ed interpretare in coerenza con tale disciplina anche eventuali difformi disposizioni della contrattazione collettiva.
A conclusioni diverse si perviene viceversa con riferimento al personale delle cd. società pubbliche in ragione della natura pienamente privatistica di tali enti predicabile anche nel caso di quelle in house (cfr., da ultimo, Cass., sez. trib., 03/04/2023, n.9199; Cass., sez. I, 16/03/2023, n.7646).
Invero, seppure anche la disciplina di quel personale sia connotata da tratti di specialità (in particolare con riferimento all’accesso agli impieghi a partire dall’entrata in vigore dell’art.18 del d.l. n. 112 del 2008, conv. in l. n. 133 del 2008), l’art. 19 D. Lgs. n. 175 del 2016 ne riafferma l’estraneità all’ambito applicativo delle regole del D. Lgs. n. 165 del 2001 “considerato il carattere di stretta interpretazione delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001” (Cass., sez. lav., 01/03/2023, n.6171).
E’ stato, quindi, affermato, in maniera del tutto condivisibile, che, nel caso delle società a partecipazione pubblica, la tendenziale assimilazione di quel rapporto alla disciplina di diritto comune, consenta la piena applicazione (anche in punto di acquisizione in via di fatto della qualifica superiore) della disciplina dell’art. 2103 c.c., dovendo escludersi che tale disposizione”si ponga in contrasto con gli obblighi imposti in tema di reclutamento alle società a controllo pubblico” (Cass., sez. lav., 01/12/2022, n. 35422). Insomma, superando la possibile equiparazione fra accesso dall’esterno e progressione in carriera la Suprema Corte chiarisce che fermo restando che le procedure di reclutamento imposte dalle disposizioni inderogabili più volte richiamate costituiscono formalità necessarie per l’instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità, sulla previsione delle stesse non si può fare leva per ritenere derogata, in assenza di un’espressa previsione normativa, la disciplina delle mansioni del rapporto già costituito, sia perché alle società partecipate non possono essere estesi né il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, né i principi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di concorsi pubblici interni, sia in quanto la nullità virtuale ex art. 1418 c.c., comma 1, richiede che la norma proibitiva si riferisca direttamente al contratto o all’atto del quale si vuole porre in discussione la validità” (Cass., sez. lav., 01/12/2022, n. 35422).
Ed è, casomai, interessante evidenziare, anche per la possibile forza espansiva del principio (si pensi all’annoso tema dell’abuso dei contratti a termine nel lavoro pubblico e dei richiami anche recentissimi operati dalla Commissione UE al nostro paese ad introdurre seri meccanismi dissuasivi sul piano interno), che viene spostato, sul piano della responsabilità degli amministratori nei confronti del socio pubblico, l’eventuale “uso distorto della disciplina delle mansioni per ottenere un risultato finale contrastante con i principi di imparzialità, trasparenza e pubblicità che stanno alla base della norma sul reclutamento”. Si chiarisce, difatti, che “in quel caso..alla responsabilità civilistica ed erariale nei confronti della società e del socio pubblico dell’amministratore che detto uso distorto ha realizzato, sul piano contrattuale si può affiancare, sempre che ne ricorrano i presupposti, il rimedio civilistico tratto dalla disciplina della frode alla legge, ravvisabile nei casi in cui nonostante la liceità del mezzo impiegato, sia illecito il risultato ottenuto”(Cass., sez. lav., 01/12/2022, n. 35422).

Avv. Mauro Montini

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