La Suprema Corte, con sentenza del 9 marzo 2025, dà piena continuità al principio secondo il quale “la causa del patto di prova è quella di tutelare l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, sicché detta causa risulta insussistente ove la verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le medesime Corte di Cassazione – copia non ufficiale mansioni, in virtù di prestazione resa dal lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore dello stesso datore di lavoro (in tal senso fra le più recenti Cass. n. 17921 del 2016; Cass. nn. 4466, 6001 e 15059 del 2015). È stato anche precisato che il principio è applicabile ogniqualvolta il prestatore venga chiamato a svolgere la medesima attività, senza che rilevino la natura e la qualificazione dei contratti stipulati in successione (Cass. n. 15960 del 2005; Cass. n. 17921 del 2016 con riguardo
ad un precedente contratto a progetto) nonché la diversa denominazione delle mansioni (Cass. 1°.9.2015 n. 17371) e senza che in sede di legittimità possa essere censurato l’accertamento di eguaglianza effettiva delle mansioni, in quanto riservato “al sovrano apprezzamento del giudice di merito” (Cass. n. 17371 del 2015 e Cass. 6001 del 2015)”. E prosegue la Suprema Corte “Considerato che la causa dell’apposizione di un patto di prova consiste nella sperimentazione reciproca alla convenienza del rapporto di lavoro prima che lo stesso divenga definitivo, questa Corte ha affermato che se tra le stesse parti si è svolto un precedente rapporto di lavoro con le stesse mansioni e il patto di prova viene stipulato in momento di poco successivo all’estinzione del precedente rapporto, il patto è illegittimo (Cass. n. 8579 del 2004; Cass. n. 138 del 2008; Cass. 6001 e 22286 del 2015)”. Da qui la fondatezza degli assunti del ricorrente.