Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (cfr. Ordinanza n. 10054 del 16/04/202), resa nei confronti di un ente pubblico non economico, conferma come la via giudiziale alla costituzione di un rapporto di lavoro (pubblico) di fatto sia destinata ad infrangersi sull’inesorabile barriera dell’art. 36 D. Lgs. n. 165 del 2001 “secondo una interpretazione che consente di ritenere verificata la compatibilità costituzionale e comunitaria del regime differenziato nel pubblico impiego, in ragione della previsione del pubblico concorso per l’accesso all’impiego, e della previsione di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive (Cass. S.U. 15/03/2016 n.5072)”. La perentorietà dell’affermazione e la riaffermata specialità della disciplina dei dipendenti pubblici, che si sconta anche in altri ambiti regolatori di quel rapporto (si pensi al mansionismo superiore o al regime della prescrizione), meriterebbe in realtà un qualche ripensamento di cui v’è traccia persino nell’art. 12, comma 1, del D.L. 16 settembre 2024, n. 131 (convertito in Legge 14 novembre 2024, n. 166) che, proprio di recente, è intervenuto a definire la misura del cd. “danno da precariato”.
Infatti, a differenza di quanto sancito dall’ordinanza sopra menzionata, tale danno non viene più mutuato dall’art. 32 della legge n. 183 del 2010 “in conformità del costante orientamento di questa Corte (Cass.01/02/2021 n.2175)” ma rinviene nello stesso art. 36, comma 5, D. Lgs. n. 165 del 2001 una diversa e più favorevole previsione di tutela con il riconoscimento di una indennità “tra un minimo di quattro e un massimo di ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto” tenuto conto “alla gravità della violazione anche in rapporto al numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti e alla durata complessiva del rapporto”.
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