Una sentenza della Suprema Corte del 21 agosto 2024 interviene su una questione che occupa talvolta le aule giudiziarie ovvero costituisce oggetto di richieste di pareri. Viene, difatti, confermato un proprio precedente (Cass. n. 34014/2021), secondo il quale «L’assegnazione del dipendente ad un ufficio diverso costituisce esercizio di un potere organizzativo che l’amministrazione adotta con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. Il mero spostamento di un pubblico dipendente da un ufficio ad un altro, che si risolva in una assegnazione di compiti diversi da quelli prima svolti, non può essere ricondotto alla nozione di trasferimento in senso tecnico; affinché si configuri un trasferimento, è necessario, infatti, che si realizzi un apprezzabile spostamento geografico del luogo di esecuzione della prestazione. Ne deriva che qualora non venga in considerazione detto mutamento geografico non si configura la fattispecie tutelata dalla norma codicistica di cui all’articolo 2103 c.c.— (applicabile in punto di trasferimento al pubblico impiego privatizzato, in mancanza di una diversa disciplina nel d.lgs. n. 165/2001) — e, conseguentemente, il Comune-datore di lavoro non ha l’onere di comprovare la sussistenza di ragioni organizzative per destinare il dipendente ad altro ufficio» (conf., ivi citata, Cass. n. 20170/2007)”.