Una recentissima sentenza della Suprema Corte (del 20 agosto 2024) affronta e risolve in modo pienamente convincente un tema di non poco rilievo. Si trattava, difatti, di individuare, in presenza di mansioni superiori “di fatto” (ovvero svolte al di fuori delle ipotesi consentite dall’art. 52 D. Lgs. n. 165 del 2001), se e quale dovesse essere il trattamento retributivo aggiuntivo spettante al lavoratore ai fini del rispetto dell’art. 36 della Costituzione allorché, come nel caso esaminato, quel lavoratore (in ragione della anzianità maturata e delle progressioni economiche svolte) avesse raggiunto uno stipendio superiore a quello di primo ingresso nella qualifica superiore. In altri e più chiari termini, come si desume dalla sentenza, era accaduto che a quel lavoratore fosse stato negato il diritto al pagamento di differenze retributive sul presupposto che, negli anni di causa, tenuto conto degli incrementi della retribuzione iniziale acquisiti nella categoria C, aveva percepito un importo complessivo superiore a quello che le sarebbe spettato applicando la retribuzione iniziale della categoria D. Orbene la Corte Suprema va di diverso avviso, affermando che le differenze stipendiali rivendicate devono essere computate alla luce del “di trattamento economico tra qualifiche, e quindi tra previsioni normative astratte, e non tra quanto normativamente previsto per una qualifica e quanto concretamente versato a titolo di retribuzione a un determinato lavoratore.Inoltre, la diversa interpretazione fatta propria dalla Corte d’Appello … porterebbe a una sostanziale legittimazione dell’attribuzione in via di fatto di mansioni di categoria superiore a dipendenti che, per l’anzianità maturata nella categoria inferiore, non avrebbero diritto ad alcuna differenza retributiva, aggirando così l’obbligo di avviare tempestivamente le procedure per la copertura dei posti vacanti, come voluto dallo stesso art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, e senza alcun rischio di responsabilità patrimoniale dei dirigenti che assegnano in questo modo le mansioni superiori (non essendoci danno da risarcire, in mancanza di maggiori per impegni di spesa per la pubblica amministrazione).Né vi è ragione di ravvisare, nel riconoscimento del diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali delle due categorie, una «ingiustificata locupletazione», come paventato nella sentenza impugnata. Infatti, la maggiorazione retributiva rispetto al reddito percepito si giustifica proprio perché quel reddito sarebbe stato dovuto anche per lo svolgimento di mansioni corrispondenti al proprio inquadramento; sicché lo svolgimento, invece, di mansioni riconducibili alla categoria superiore rappresenta, di per sé, una valida giustificazione per un pagamento ulteriore”.